Nella comunità degli immigrati di Meadows, un paese di campagna a cinquanta chilometri da Winnipeg, al centro del Canada, negli anni 80 il curling era una delle attività di aggregazione preferite dalle signore straniere di mezz'età. Avevano una loro squadra e partecipavano ai tornei della zona. In un mobiletto a vetrina della sala da pranzo della nonna dell'autore di questo articolo, fa ancora bella mostra un trofeo vinto in quegli anni.
Dai racconti della signora emerge un concetto molto più complesso del curling rispetto allo scherno con cui da noi viene sempre trattato. Se da questa parte d'Europa mediterranea sembra uno sport bizzarro, forse addirittura ridicolo (qui Fanpage.it lo definisce con un velo di esotica ironia “lo sport più strano del mondo”), nei paesi in cui ha una lunga tradizione viene addirittura definito “scacchi sul ghiaccio” per la profonda componente di strategia tattica che ogni squadra mette in atto nel corso delle partite.
Dietro alle percezioni diametralmente opposte c'è sempre una questione culturale. Se non conosci, non puoi comprendere. Se qualcosa è lontana dalle tue abitudini è automaticamente bizzarra. La stessa bizzarria che la signora e suo marito rappresentavano per i canadesi, culturalmente filo-britannici, quando raccontavano serenamente di mangiare carne equina.
Di fronte allo sconosciuto esistono due approcci possibili: chiudersi, non comprendere, restare distanti; oppure tentare di capirsi e, anche senza necessariamente cambiare la propria idea, comprendere le ragioni da cui nascono le idee altrui.
Chi come noi si occupa di creatività non può che propendere per la seconda strada. Così abbiamo voluto saperne di più sul curling. Su come e perché alcuni lo trovano interessante e complesso. Su cosa avremmo potuto fare nostro di quello sport.