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Focus

Siete pronti a giudicare una copertina 

da una copertina?

Il senso dell'excursus che state per leggere, tutto incentrato attorno al termine “copertina”, lo dovete trovare nell'omonimia tra copertina intesa come pezzo tessile a protezione dal freddo e copertina intesa come il fronte, la prima pagina, la copertura che può essere di un libro, di un giornale, di un disco. O perché no, di un sito web che, sovvertendo le regole del digital, sceglie di abolire la homepage e sostituirla con, appunto, una copertina.

I siti non possono avere una copertina!

L'idea dell'attuale sito di copiaincolla è nata partendo da un presupposto di contro-tendenza. Abbiamo voluto forzare alcune scelte strutturali nel pensiero di questa ultima versione di copiaincolla.com così da arrivare ad un sito web che non avesse i tratti tipici di un sito web.

Una ricerca che può essere ben rappresentata dalla homepage. Che invece della classica struttura digital ha la struttura di una normale copertina di un magazine cartaceo, periodicamente rinnovata. Una testata in alto, alcuni titoletti di anteprima di articoli da leggere, un titolone e un'immagine descrittivi del tema principale dell'ultimo numero.

Nel caso del nostro sito la copertina è stata un elemento di rottura. Un fattore atipico. Una copertina che all'incirca ogni tre mesi ci aiuta a soddisfare parte di quel bisogno distintivo che sentiamo parte della mappa genetica della nostra agenzia.

La copertina, se avete freddo

La pronuncia della parola plaid è una buccia di banana su cui tutti scivoliamo. Andrebbe pronunciata pläd e invece la usiamo sempre facendola suonare con qualcosa di simile a plèd oppure a pleid. Peccato. Plaid è un sostantivo inglese. Viene dal gaelico plaide e la si può tradurre con coperta, oppure per rendere il carattere caldo dell'oggetto e di come lo intendiamo, con la parola copertina.

Il diminutivo reso dal suffisso -ina aiuta a rappresentare il suo essere generalmente piccola - con un plaid non ci potete coprire un letto matrimoniale, per intenderci, e se ci riuscite allora non è un plaid - e -ina aiuta anche a trasmettere il suo essere generalmente non troppo pesante.

Per la Treccani è una coperta da viaggio solo successivamente mutuata anche ad uso domestico. Spesso è di fantasia scozzese ed è decorata con frange alle estremità. Ecco, quella è una copertina. Anzi un plaid. Va beh, fate voi.

Non giudicate un libro da lei

C'è stato un tempo in cui i libri erano un lusso per pochi. La lettura non poteva essere una passione popolare - ammesso che popolare lo sia mai davvero diventata - e non poteva esserlo per molte ragioni tanto semplici quanto lontane nel tempo. Perché l'analfabetismo pervadeva le classi sociali meno abbienti e perché l'assenza dell'illuminazione elettrica imponeva stili di vita in cui dal tramonto all'alba nelle dimore poteva accadere ben poco e certamente sarebbe stato molto scomodo dedicarsi alla lettura vincolati al lume delle candele, che erano oltretutto un bene di prima necessità difficile da sperperare per un vezzo tutt'altro che di prima necessità come la lettura. E si sa, quel che va a minacciare la sopravvivenza, ha vita breve nelle abitudini delle specie animali.

La poca popolarità del prodotto libro significava la totale assenza di un vero mercato libero. Senza mercato non c'era chi davvero acquistava quel bene - scegliendolo per se o come regalo per altri - e non c'era chi davvero vendeva quel bene. Non c'era un sistema commerciale che attorno a quel prodotto comportasse l'esistenza di librerie intesi come negozi aperti a chiunque, e dunque scaffali, e dunque marketing, pubblicità, seduzione per l'occhio del potenziale acquirente.

L'utilizzo delle copertine come strumento di comunicazione, come spazio da dedicare ad uno studio di immagini in grado di aumentare le probabilità di vendita del prodotto libro, è una scoperta molto recente nel mercato editoriale. Fino a pochi decenni fa “non serviva” vendere libri e gli editori non dovevano fare a spallate per dividersi il mercato ed emergere dai ripiani di una libreria. Ora sì. E a guardare le creazioni degli art che negli ultimi anni si sono impegnati in quel campo, è stata una fortuna.

Grazie a quelle necessità commerciali, abbiamo potuto apprezzare pezzi pregevoli di graphic design. Lavori nati da processi di sintesi di un contenuto complesso in immagini intuitive. Processi non molto differenti dalle dinamiche che in agenzia ogni giorno, a più livelli, mettiamo in atto. La creatività come strumento per semplificare e veicolare con efficienza messaggi in origine molto articolati e meno intuitivi.

Finire su tutte le copertine

Un classico topos del cinema è, subito dopo l'avvenuta di un fatto chiave ed eclatante per la trama del film, mostrare la scena in cui si vedono le rotative delle tipografie stampare i quotidiani del giorno dopo con il titolone in prima pagina riferito a quel che è appena accaduto al personaggio. Oppure la scena di un piccolo strillone imbracciare una pila di quotidiani e urlare il titolone dal marciapiede di una metropoli. Scene che rappresentano bene l'espressione “finire su tutte le copertine”.

Se le copertine dei libri sono cosa recente, le copertine dei giornali sono certamente venute prima. Non si tratta in quel caso di sedurre l'occhio del pubblico attraverso l'estetica; si tratta di interessarlo attraverso le parole e le fotografie dei fatti. In entrambi i casi, copertine come strumento di marketing. Come chiavi per influire sull'incremento delle vendite.

La copertina è il luogo in cui una testata costruisce la sua stessa identità. Più o meno peso alle immagini, più o meno delicatezza nella scelta delle parole. Un sistema rimasto invariato lungo tutto il secolo scorso e arrivato oggi a funzionare nello stesso modo. Lo stesso modo in cui funziona la copertina di copiaincolla.com.

Di banane, prismi e linguacce

Ci sono copertine che hanno segnato intere epoche, che hanno segnato correnti artistiche, sociali, musicali. Cose che accadono solo alle icone.

La banana era il cuore della copertina shock disegnata e ideata da Andy Warhol per l'album The Velvet Underground & Nico. I temi erano parecchio trasgressivi. La copertina era un'allusione sessuale che non si limitava all'utilizzo metaforico del frutto esotico ma diventava interattiva: la buccia gialla era un adesivo che poteva essere tolto scoprendo al di sotto una banana dalla polpa rosa. Una copertina sperimentale, avveniristica, talmente in anticipo sui tempi che non trovò subito il successo che le fu riconosciuto in seguito.

Cinque anni dopo, nel 1973, il prisma era l'oggetto che sulla cover di The Dark Side Of The Moon attribuiva nella memoria di chiunque il ruolo di monumento della musica ai Pink Floyd. Un fascio di luce bianca che entrando da sinistra usciva alla destra del solido con un fascio arcobaleno.

Due anni prima, nel 1971, la linguaccia dei Rolling Stones debuttava all'interno della copertina di Sticky Fingers. Il bozzetto del suo autore, John Pasche, allora studente al Royal College of Art, fa ora parte della collezione permanente del Victoria and Albert Museum a Londra. Acquistato per 50 mila sterline. Nemmeno troppo per il valore commerciale e culturale di quel marchio.

Se i vinili sono tornati di moda è anche grazie all'importanza che sull'oggetto disco prendono le copertine. Vengono valorizzate. Prendono tutto lo spazio che permette loro di giocare da magneti per il pubblico. Tornano ad esercitare fascino su chi deve scegliere e acquistare il prodotto. Un fascino che travalica epoche e tendenze. L'occhio umano desidera essere attratto. La creatività prestata alle strategie di mercato desidera attrarlo nel modo più originale, funzionale, efficace, sorprendente che esista.

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