Il pullman prende il nome dal suo inventore, George Mortimer Pullman. A Roma potrebbero anche chiudere la cosa con un e 'sti cazzi, ma noi non siamo di Roma e quindi ci ricamiamo un po' su.
All'inizio le Pullman Sleepers erano confortevoli carrozze ferroviarie, solo poi divennero le “carrozze” stradali antenate degli autobus moderni. Pullman era un imprenditore statunitense decisamente arrembante. Per pubblicizzare le sue nuove carrozze si offrì di trasportarvi gratuitamente la salma di Lincoln da Washington a Spriengfield, in Illinois, dove sarebbe stata sepolta all'Oak Ridge Cemetery. Aveva anche spostato la produzione in un luogo isolato, lontano dalla sua Chicago e per invogliare i dipendenti a seguirlo aveva costruito già a metà Ottocento, molto prima che fosse più frequente farlo, un'intera cittadina attorno alla fabbrica, con case, scuola, negozi, teatri e tutto il resto.
I pullman sono un mezzo di trasporto su cui tutti siamo saliti molte volte. Altri mezzi sono più esotici. Meno comuni o desueti. Mongolfiera, sottomarino, dirigibile, ovovia, funicolare, piroscafo, aliscafo, carrarmato, calesse, monociclo, monorotaia.
Ma tutta questa elucubrazione legata ai mezzi nasce dalla grande quantità di casi in cui la parola mezzi viene pronunciata nell'ambito della comunicazione. L'analisi dei mezzi, la pianificazione dei mezzi, lo proposta dei mezzi.
Anche in comunicazione i mezzi hanno il significato di strumento capace di condurre qualcuno o qualcosa da un punto A a un punto B. In linea generale, conducono un'idea, una voce, un messaggio dalla marca fino a dove si trova il suo pubblico.
La cosa bella è saperli guidare tutti. E oltre che bella, quella è anche la cosa più difficile. Dipende da quanti passeggeri devi portare, quanto lontano devi andare, se è un viaggio in cui godersi l'itinerario oppure se l'obiettivo è arrivare prima possibile a destinazione, se vuoi spendere poco di carburante oppure se vuoi badare al comfort, se devi viaggiare per terra, mare o aria.
A spiegarle così sembrano tutte cose ovvie. Lo sono meno quando si entra in un mondo che di semestre in semestre cambia le sue regole, in cui il mare non è detto che non si possa trasformare in montagna e dove il mezzo che prima era il più veloce non possa essere diventato uno dei più lenti.
Che poi, in comunicazione, ridurre il viaggio del pubblico da un punto A e un punto B è troppo scialbo. Addirittura falso. Non è un tragitto meccanico. L'aspirazione è che all'arrivo l'ambiente e l'atmosfera siano molto differenti da quelli della partenza. Che il viaggiatore si senta rappresentato, appagato, soddisfatto, che abbia trovato ciò che il viaggio prometteva, che si sia emozionato o divertito, che si sia sentito coinvolto dal percorso e dai significati che il percorso ha rappresentato per lui. Non è più solo un trasporto fisico, ma arriva a trasformarsi in un trasporto che è anche emotivo. In una forza che, in un senso o nell'altro, conduce ad uno stato d'animo differente da quello iniziale.
La conclusione, la morale, il succo, il gran finale è dunque che i mezzi di trasporto non sono i mezzi della comunicazione, eppure i mezzi della comunicazione hanno l'obiettivo di generare trasporto. E, altra lezione fondamentale, tutti quei mezzi sono perfettamente interi.